© Azadeh Besharati

Il training autogeno, definito dal suo ideatore J.H. Schultz come una tecnica di autodistensione da concentrazione passiva, si configura non solo come uno strumento volto al raggiungimento di uno stato di profondo rilassamento psicofisico, ma anche come un mezzo per facilitare l’esplorazione dei vissuti corporei e immaginativi, spesso associati a contenuti emotivi profondi, che emergono spontaneamente durante la corretta e regolare esecuzione degli esercizi.

Uno dei principi fondanti del metodo è rappresentato dal concetto di autonomia. Proprio in virtù di questo presupposto sono stati avviati dei corsi di training autogeno rivolti alle donne di alcuni centri antiviolenza, con l’intento di promuovere un maggior senso di padronanza di sé e delle proprie risorse interiori, favorendo quindi lo sviluppo dell’autonomia e della consapevolezza personale.

Gli incontri si sono svolti ogni quattordici giorni e hanno previsto, oltre alla spiegazione degli esercizi, momenti di confronto e riflessione dedicati all’elaborazione delle difficoltà incontrate e dei vissuti emersi durante il percorso.

Una delle prime problematiche emerse nel corso degli incontri è stata la forte necessità di una guida esterna, ovvero di una voce che conducesse l’esercizio in modo diretto e rassicurante. Questo bisogno si è rivelato coerente con la presenza di dinamiche di dipendenza affettiva, spesso caratteristiche delle donne vittime di violenza relazionale. In questo contesto, il training autogeno è stato introdotto con l’intento di promuovere un progressivo percorso verso l’autonomia e l’autoregolazione, offrendo uno spazio sicuro in cui poter sperimentare nuove modalità di gestione di sé.

La pratica, infatti, si configura come uno strumento volto a restituire senso di padronanza e potere personale, poiché consente alle partecipanti di entrare in contatto con il proprio mondo interno, imparando a gestirlo consapevolmente, anziché esserne gestite. In questo modo, si rafforza la capacità di affrontare in maniera più equilibrata anche le pressioni provenienti dal mondo esterno.

Oltre a favorire un rapido recupero delle energie psicofisiche – grazie all’attivazione, durante la pratica, di meccanismi fisiologici tipici degli stati di rigenerazione profonda, come nel sonno – il training autogeno stimola infatti lo sviluppo della capacità di autoindurre uno stato di calma, promuovendo introspezione, autocontrollo e autoregolazione emotiva.

Un’ulteriore difficoltà riscontrata è stata la resistenza al lasciarsi andare al rilassamento profondo, motivata dalla paura di perdere il controllo. Questa resistenza si è rivelata strettamente connessa a una ridotta capacità di gestione del mondo interno, che porta a una forte necessità di controllo sugli stimoli esterni per ottenere una sensazione soggettiva di sicurezza.

Nel corso del percorso, si è potuto osservare un cambiamento significativo nella percezione delle proprie risorse personali: se inizialmente era presente una costante tensione legata al bisogno di controllo su ogni aspetto della quotidianità, con la pratica regolare del training autogeno si è progressivamente ridotta questa necessità. Le donne hanno iniziato a percepirsi come maggiormente capaci di affrontare le situazioni esterne in modo flessibile e adattivo.

Questo cambiamento si deve al rafforzamento della fiducia in sé e nella propria capacità di gestire le emozioni e gli eventi, contribuendo così a restituire un profondo senso di forza, sicurezza e autoefficacia. La possibilità di sperimentare di "potercela fare da sole" ha rappresentato un elemento trasformativo centrale nel percorso di empowerment delle partecipanti.

Un’ulteriore difficoltà emersa nel corso dell’esperienza riguarda la fatica a dedicarsi del tempo e a restare in ascolto di sé, elemento che riflette non solo la storia personale delle partecipanti, ma anche una dinamica più ampia e culturale. 

In un contesto sociale sempre più orientato alla produttività e alla velocità, fermarsi, ascoltarsi e rivolgere attenzione al proprio mondo interno rappresenta un atto inconsueto, ma profondamente necessario.

Il training autogeno, in questo senso, veicola un messaggio culturale di grande valore, offrendo uno spazio simbolico e concreto in cui la persona può legittimare il proprio bisogno di cura, silenzio e interiorità. L’invito implicito che accompagna questa pratica – a sospendere l’agire per entrare in contatto con se stesse – costituisce una risorsa preziosa non solo in ambito clinico, ma anche nella promozione del benessere psicologico nella vita quotidiana.

Tutti questi elementi confermano come il training autogeno non si limiti a produrre effetti di rilassamento, ma rappresenti uno strumento psicologico estremamente versatile e potente per il trattamento, la prevenzione e la promozione della salute mentale.

Articolo a cura di Eleonora Crabu.

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